La Raccomandazione 2003/361/CE, pur essendo una fonte di diritto che non assume carattere vincolante, è l’unico parametro dettato dalla normativa comunitaria utile ai fini della definizione di impresa. Tale raccomandazione afferma: “Si considera impresa ogni entità, a prescindere dalla forma giuridica rivestita, che eserciti un’attività economica. In particolare sono considerate tali le entità che esercitano un’attività artigianale o altre attività a titolo individuale o familiare, le società di persone o le associazioni che esercitino un’attività economica”.

La definizione di impresa sopra riportata appare generica e conseguentemente si ritiene utile approfondirla e circoscriverne il contenuto attraverso le indicazioni fornite prima dalla giurisprudenza comunitaria e poi da quella nazionale.

La Corte di Giustizia, con una pronuncia risalente, precisa che: “debba intendersi impresa qualsiasi entità esplicante un’attività economica, indipendentemente dallo stato giuridico di questa entità e dal suo modo di finanziamento” [v. Corte Giustizia Europea, 23 Aprile 1991, causa C-41/90; in tal senso v. anche Corte Giustizia Europea 23 dicembre 2009, n. 305].

Recentemente la Corte Giustizia ha commentato il contenuto della propria Decisione del 5 settembre 2014 n. 171 ed ha confermato che: “La [Corte] definisce il concetto di “impresa” ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, del trattato come qualsiasi entità che esercita un’attività economica, a prescindere dallo status giuridico di detta entità e dalle sue modalità di finanziamento (…). Secondo la [Corte], costituisce attività economica qualsiasi attività che consista nell’offrire beni o servizi in un determinato mercato (…). Pertanto, un’entità è classificata come impresa sempre relativamente a un’attività specifica. Un’entità che esercita sia attività economiche che attività non economiche deve essere considerata un’impresa solo in relazione alle prime. Non occorre che l’impresa sia una persona giuridica; anche le persone fisiche possono essere considerate imprese ai fini degli aiuti di Stato, purché esercitino un’attività economica” [Corte Giustizia Europea, 19 ottobre 2023, n. 325].

La giurisprudenza nazionale, recependo le indicazioni comunitarie, si è pronunciata affermando che: “La definizione comunitaria di impresa non discende da presupposti soggettivi ma da elementi puramente oggettivi quali l’offerta di beni e servizi da scambiare con altri soggetti, con la conseguenza che non v’è ragione di escludere che anche soggetti economici senza scopo di lucro possano soddisfare, ai fini della partecipazione ad una gara di appalto, i necessari requisiti ed essere qualificati come imprenditori, fornitori o prestatori di servizi ai sensi delle disposizioni vigenti in materia sempre che questa possibilità trovi riscontro nella disciplina statutaria del singolo soggetto giuridico – si deve ritenere che proprio lo statuto sociale e mutualistico debba disciplinare il modus operandi di tali soggetti in sede di partecipazione alle procedure ad evidenza pubblica”, tenendo, tra l’altro, conto che “la previsione dell’indefettibilità dell’utile, oltre che distonica rispetto alla vocazione di tali soggetti, lederebbe ingiustificatamente anche l’interesse pubblico a usufruire delle offerte più vantaggiose conseguibili in un mercato contendibile da attori con diverse caratteristiche” [TAR Roma, 12 febbraio 2015, n. 2518, in Mass. Giur. It. 2015].

Lo stesso TAR Roma ha precisato, con una sentenza di poco antecedente a quella appena menzionata, che: “Una fondazione privata è legittimata a partecipare ad una procedura di evidenza pubblica dal momento che, in base alla normativa nazionale (art. 3, punto 19, del codice dei contratti) e comunitaria (art. 1, par. 8, della direttiva n. 2004/18/Ce), non v’è ragione di escludere che anche soggetti economici senza scopo di lucro, quali le fondazioni, possano soddisfare i necessari requisiti ed essere qualificati come “imprenditori”, “fornitori” o “prestatori di servizi” ai sensi delle disposizioni vigenti in materia, attese la personalità giuridica che le fondazioni vantano e la loro capacità di esercitare anche attività di impresa, qualora funzionali ai loro scopi e sempre che quest’ultima possibilità trovi riscontro nella disciplina statutaria del singolo soggetto giuridico. La definizione comunitaria di impresa non discende da presupposti soggettivi, quali la pubblicità dell’ente o l’assenza di lucro, ma da elementi puramente oggettivi quali l’offerta di beni e servizi da scambiare con altri soggetti, nell’ambito quindi di un’attività di impresa anche quando non sia l’attività principale dell’organizzazione” [TAR Roma, 14 gennaio 2015, n. 539 in Mass. Giur. It. 2015]. Altra pronuncia ancora più risalente ha affermato: “Sia la l. n. 328 del 2000 sia la “lex specialis” di gara non introducono un espresso divieto di partecipazione a carico di soggetti aventi scopo di lucro. D’altra parte, va considerato che la definizione comunitaria di impresa non discende da presupposti soggettivi, quali la pubblicità dell’ente o l’assenza di lucro, ma da elementi puramente oggettivi quali l’offerta di beni e servizi da scambiare con altri soggetti, nell’ambito quindi di un’attività di impresa anche quando non sia l’attività principale dell’organizzazione. Pertanto, anche in una prospettiva comunitaria, non può ricavarsi una netta separazione, ai fini della partecipazione all’affidamento di commesse pubbliche, tra enti economici in senso stretto ed enti di altra natura.”  [TAR Napoli, 3 aprile 2012, n. 1544, in Foro Amministrativo 2012].

In ragione di quanto sopra esposto, ogni soggetto giuridico che renda servizi o fornisca beni può essere considerato un’impresa. La giurisprudenza comunitaria e di conseguenza quella nazionale chiariscono che può essere considerata impresa ogni entità dotata di quel requisito oggettivo che è costituito dall’offerta di beni e servizi da scambiare con altri soggetti.

La definizione di impresa secondo la disciplina comunitaria è più ampia di quella indicata dall’art. 2082 c.c.

– Avv. Paolo Mellina Bares